LA CORTE D'APPELLO 
 
    Ha pronunciato la seguente  ordinanza  nella  causa  promossa  da
B.M., appellante, Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense,
appellato. 
    Appello avverso la sentenza Tribunale di Rovigo n. 29/2008. 
    La Corte, sciogliendo la  riserva  espressa  all'udienza  del  12
maggio 2009, osserva quanto segue. 
    L'appellante ha chiesto che venga accertato il proprio diritto di
beneficiare della indennita' di maternita', prevista  per  le  libere
professioniste dall'art. 70, d.lgs. n. 151/2001, in alternativa  alla
madre, quale padre di M.B., nato il... 
    La domanda viene anzitutto fondata  sulla  sentenza  n.  385/2005
della  Corte  costituzionale,  che  ha  «dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale degli art. 70 e 72, d.lgs. 26 marzo  2001,  n.  151...
nella parte in cui non prevedono il principio che al padre spetti  di
percepire  in  alternativa  alla  madre  l'indennita'  di  maternita'
attribuita solo a quest'ultima». 
    La sentenza della Corte costituzionale e' stata emessa  all'esito
di  una  questione  di  costituzionalita'  delle   norme   richiamate
sollevata dal Tribunale di  Sondrio,  relativamente  al  diritto  del
padre, libero professionista, di  beneficiare,  in  alternativa  alla
madre, della indennita' di  maternita'  per  i  tre  mesi  successivi
all'ingresso del bambino  in  famiglia,  nella  fase  di  affidamento
preadottivo. 
    Questa Corte condivide la tesi della  Cassa  appellata  circa  la
natura di sentenza additiva di principio della pronuncia della  Corte
costituzionale,  priva  di  effetto  diretto  al   di   fuori   della
fattispecie dell'affidamento preadottivo. 
    In questa direzione conduce  l'esame  della  parte  motiva  della
sentenza, in cui si fa espresso riferimento alla disciplina dell'art.
72, d.lgs. n. 151/2001 e al raffronto tra la situazione dei  genitori
adottivi o affidatari e dei genitori biologici. 
    Tuttavia, la sentenza  della  Corte  costituzionale  enuncia  dei
principi  in  materia  di  tutela  dell'interesse  del  figlio  e  di
equiparazione delle situazioni dei genitori, che portano questa Corte
a dubitare della costituzionalita' dell'art. 70, d.lgs. n.  151/2001,
nella parte in cui attribuisce  alla  sola  madre,  quanto  meno  con
riferimento  ai  tre  mesi  successivi  al  parto,  il   diritto   di
beneficiare della indennita' di maternita'. 
    In questo senso si ritiene opportuno richiamare i passaggi  della
sentenza  n.  385/2005,  che  sottolineano  il  percorso  legislativo
compiuto fino al d.lgs. n. 151/2001, nel segno  della  estensione  al
padre lavoratore «dei  diritti  in  precedenza  spettanti  solo  alla
madre, a protezione del preminente interesse della prole». In  questa
prospettiva, la sentenza in esame  richiama  le  precedenti  pronunce
della  stessa  Corte  n.  1/1987,  che  ha  sancito  il  diritto  del
lavoratore padre all'astensione dal lavoro e al godimento dei  riposi
giornalieri in caso di decesso o  di  altra  grave  infermita'  della
madre, n. 341/1991, in tema di diritto all'astensione dal lavoro  del
lavoratore affidatario di minore durante i primi  tre  mesi  dal  suo
ingresso in famiglia, in alternativa alla moglie  lavoratrice,  e  n.
179/1993, in tema di spettanza al lavoratore  padre  del  diritto  ai
riposi   giornalieri,   in   alternativa   alla   madre   lavoratrice
consenziente. 
    In  tutti  questi  casi  la  Corte  costituzionale  ha   motivato
l'estensione  dei  diritti  del  padre  lavoratore  sulla  base   del
riconoscimento in capo al bambino della titolarita' di  un  interesse
specifico e autonomo rispetto a  quello  dei  genitori,  da  tutelare
nell'ambito della legislazione protettiva. 
    Nella vicenda in esame  vanno  richiamate  anche  altre  sentenza
della  Corte  costituzionale,  che  hanno  messo   in   evidenza   la
specificita' della condizione della  lavoratrice  autonoma,  e  della
libera professionista madre, sottolineando la  differente  disciplina
normativa  in  tema  di  tutela  della   maternita'   rispetto   alla
lavoratrice subordinata. 
    In questo senso, gia' con  la  sentenza  n.  181/1993,  la  Corte
costituzionale  ha  sottolineato  la  differente   situazione   della
lavoratrice madre subordinata, per cui vige il divieto di prestazione
dell'attivita'  lavorativa  nel  periodo  compreso  trai   due   mesi
antecedenti  e  i  tre  successivi  al  parto,  e  della  lavoratrice
autonoma, per cui non e'  prevista  una  interdizione  analoga  e  la
tutela dei valori riconosciuti dalla legge e'  perseguita  attraverso
l'erogazione economica della indennita' di maternita'. 
    La sentenza n. 3/1998 ribadisce le peculiarita' delle  due  forme
di prestazione lavorativa, autonoma e subordinata, e l'impossibilita'
di  una  trasposizione   delle   tutele   dall'uno   all'altro   tipo
contrattuale. La sentenza sottolinea poi «il sistema di  autogestione
dell'attivita' proprio delle lavoratrici autonome, che consente  loro
di scegliere liberamente le modalita' di lavoro tali da conciliare le
esigenze professionali con il prevalente interesse del figlio». 
    La sentenza,  infine,  individua  il  duplice  obiettivo  che  il
sostegno economico fornito alle lavoratrici madre autonome  persegue:
da un lato la tutela della salute  della  donna  e  del  nascituro  e
dall'altro il sostegno al reddito, per evitare che alla maternita' si
colleghino stati di bisogno. 
    La duplice finalita' della indennita'  e'  ribadita  anche  dalla
giurisprudenza della Corte di cassazione, che sottolinea  il  sistema
di  autogestione  dell'attivita'  lavorativa,  che  caratterizza   le
lavoratrici madri autonome (cfr. Cass. 7447/1999),  evidenziando  poi
come  la  finalita'  dell'istituto  in  esame  non  sia   collegabile
all'evento fisico del parto,  quanto  alla  maternita',  intesa  come
funzione che la madre esercita nei confronti del bambino (cfr.  Cass.
14814/2001, con esplicito richiamo, sul punto, a Corte costituzionale
n. 1/1987). 
    In questa prospettiva, la Corte  costituzionale,  nelle  sentenze
appena richiamate, ha evidenziato la funzione delle  norme  in  esame
anche nella prospettiva del  figlio,  valorizzando  la  tutela  delle
esigenze di  sviluppo  dei  rapporti  relazionali  ed  affettivi  con
entrambi i genitori. 
    Proprio le specificita' della condizione della lavoratrice  madre
autonoma che sono state prima evidenziate, portano quindi a  ritenere
che i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n.
385/2005 possano riferirsi anche alla fattispecie in esame. 
Infatti, se per la  lavoratrice  autonoma  non  vige  il  divieto  di
prestazione   dell'attivita'   lavorativa,    essendo    privilegiata
l'autogestione della attivita' lavorativa, e  se  la  funzione  della
indennita' della maternita' e' anche quella di consentire alla  madre
di svolgere quella funzione di cura del bambino,  sottolineata  tanto
dalla Corte costituzionale che dalla Corte di cassazione,  e'  allora
evidente che vanno tutelate anche nella fattispecie in  esame  quelle
esigenze di organizzazione della vita familiare e  lavorativa  meglio
rispondenti alle esigenze della prole, che possono essere  affrontate
e risolte in base  alla  decisione  dei  genitori  di  stabilire  chi
assentandosi dal lavoro, debba svolgere il ruolo di assistenza e cura
del  bambino,  che  la  sentenza  n.  385/2005  valorizza,   fino   a
utilizzarle per fondare la propria decisione  di  incostituzionalita'
degli art. 70 e 72, d.lgs. n. 151/2001. 
    Infatti, e'  proprio  nella  sentenza  richiamata  che  la  Corte
costituzionale afferma il principio che rimette in via  esclusiva  ai
genitori il potere di scegliere quale dei due  debba  assentarsi  dal
lavoro per svolgere i compiti di assistenza e di cura dei figli. 
    La disciplina vigente, che attribuisce alla sola madre il diritto
di percepire l'indennita' di maternita', contrasta quindi con  questa
ricostruzione delle facolta' e dei poteri dei genitori in materia  di
tutela della prole che invece la Corte costituzionale  ha  affermato,
impedendo in concreto l'esercizio del potere di scelta di quale tra i
genitori debba assistere  il  figlio,  rinunciando  allo  svolgimento
dell'attivita' lavorativa.  Cio'  appare  in  modo  evidente  proprio
nell'ambito di una disciplina caratterizzata dalla facolta', concessa
alla lavoratrice madre, di determinarsi autonomamente per l'esercizio
della attivita' lavorative, sganciando l'erogazione della  indennita'
dalla astensione dal lavoro. 
    Ritiene infine questa Corte che la specifica situazione del padre
libero professionista non possa essere raffrontata,  sul  punto,  con
quella del padre lavoratore subordinato,  al  quale  l'indennita'  di
maternita' spetta, nello stesso  periodo  protetto,  alle  condizioni
previste dall'art. 28, d.lgs. n. 151/2001. In particolare,  cio'  che
differenzia le due situazioni considerate sta  proprio  nell'assenza,
per la lavoratrice madre  autonoma,  di  un  divieto  di  prestazione
dell'attivita'  lavorativa  nel  periodo  protetto,   e   invece   il
riconoscimento di una autogestione della  attivita'  lavorativa,  che
incide indubbiamente anche sul regime di estensione  dei  diritti  al
lavoratore autonomo padre. 
    Questa Corte ritiene quindi che la questione di costituzionalita'
dell'art. 70, d.lgs. n. 151/2001, nella parte in cui non riconosce al
padre lavoratore autonomo,  in  alternativa  alla  madre  lavoratrice
autonoma, di beneficiare della indennita' di maternita' nei due  mesi
antecedenti  e  nei  tre  mesi   successivi   al   parto,   non   sia
manifestamente infondata, con riferimento agli art. 29, comma 2,  che
afferma il principio di uguaglianza tra i coniugi anche in  relazione
ai compiti di cui all'art. 30, comma 1, 31, che pone la tutela  della
famiglia e del minore come compito fondamentale dell'ordinamento, e 3
della  Costituzione,  che  afferma  il  principio   di   parita'   di
trattamento, nella parte  in  cui  viene  affermata  l'ingiustificata
disparita' di trattamento tra madre e padre liberi professionisti. 
    La questione di costituzionalita'  risulta  pure  rilevante,  con
riferimento alle conclusioni svolte in via principale dal  ricorrente
appellante. A questo proposito va considerato  che  la  stessa  Corte
costituzionale, nella sentenza n. 385/2005, ha  evidenziato  come  la
lettera  dell'art.  70,   d.lgs.   n.   151/2001   sia   «di   chiara
interpretazione  e,  nel  fare  esclusivo  riferimento  alle   libere
professioniste,  esclude  in  linea  di  principio  i  padri   liberi
professionisti dal godimento di detto beneficio».  Proprio  i  limiti
derivanti dalla  formulazione  letterale  della  norma  escludono  la
possibilita' di una interpretazione  costituzionalmente  adeguatrice,
come  prospettato   dalla   giurisprudenza   di   merito   richiamata
dall'appellante, e impongono una pronuncia della Corte costituzionale
per la valutazione della costituzionalita' della legge.